venerdì 22 giugno 2007

21 giugno 1985

Buon anniversario.
22 anni fa Springsteen ha fatto esplodere san siro. ripropongo una recensione dell'epoca.
dal Mucchio:

IL ROCK ESISTE ANCORA!
di Mauro Zambellini

Finalmente è arrivato, finalmente ha suonato e per i settantamila presenti ha confermato che The Boss è lui, il più grande di tutti. Inutile dilungarsi, è già stato detto tutto. Un concerto di Bruce è la cosa più gioiosa ed eccitante di questo mondo, e quello di Milano, a detta di chi ha assistito ad altri shows europei e americani della scorsa estate, è stato uno dei migliori della sua recente carriera, superato forse solo da quelli alla Brendan Byrne Arena nel New Jersey, e di sicuro migliore di quello di Newcastle e pari a quello di Dublino. Merito suo, della E-Street Band, di quel rock muscoloso ed essenziale e di un fantastico pubblico che ha diviso alla pari le emozioni del palco creando un flusso reversibile tra sé e i musicisti, rafforzando una suggestione collettiva che in alcuni momenti è diventato trionfo, come raramente capita di vedere. Gioia e festa e, come scrive Castaldo su 'Repubblica' del 23/6, «un atto di passione per Il Mucchio N. 90/91 - Luglio/Agosto 1985 la vita, un'esplosione di energia che da tempo il rock non riusciva più ad innescare». 'Viva Bruce', grida la sua gente alla fine dello show , dopo tre ore e mezzo di rock maiuscolo. '! Love You' risponde Springsteen visibilmente emozionato. Tornerò, urla in un ottimo italiano, poi impugna la Fender, guarda negli occhi la E-Street Band e riversa sullo stadio un fantastico «Rockin' All Over The World» che ha tutto l'aspetto di un inno all'internazionalismo del rock. Aveva iniziato puntualissimo al le 19.30, col tempismo tipico del 'blue collari (il timbraggio del cartellino è il simbolo più esplicito della condizione operaia) e la martellante «Born In The USA» aveva sciolto ogni dubbio. Sebbene la sua incredibile notorietà avesse già coagulato attorno a sé un business, che nel passato non aveva oscurato il suo personaggio, vero, sincero, autenticamente «nostro» e che dopo il successo di «Born In The USA» ha invece cominciato a fare sentire le sue mani, amplificando il tutto, dall'uso dei media alla grandezza degli stadi; nonostante tutto questo, quando il pugno si è alzato e i muscoli in bella evidenza hanno sguainato la Fender, ogni nube è scomparsa.
Il Rock aveva vinto, Bruce era ancora dei nostri. Il tentativo di rubarcelo mettendolo nel museo in cui il business tiene le proprie rockstars era miseramente fallito. Ci vuole solo un attimo, «Born In The USA», «Badlands», «Out In The Street» e il pubblico è in visibilio. Ma non celebra il rito, semplicemente vive nella sua più profonda emozione, interiore ed esteriore, il concerto di un artista che dà tutto, contro il tempo e contro la resistenza fisica, in nome di un integrità morale maturata nelle backstreets e oggi non svenduta. Sebbene ricco, pensa e ha la sensibilità di un povero.
Ma c'è sempre chi continua a non capire un cazzo di tale effetto e scrive l'indomani su un quotidiano milanese di larga gittata, «Compare lui, il mito, il nuovo Anticonformista. In ottantamila restano folgorati dalle parole delle sue canzoni. Per i molti che di poesia ne hanno letta poca quei suoi versi irruenti ed immediati rappresentano infatti la scoperta della poesia.»
E poi quando l'entusiasmo diventa realmente unico, per la reazione a catena che coinvolge contemporaneamente settantamila biologie cellulari, quando il rock strabocca dalle note di «Prove It Ali Night», «Glory Days» e «Promised Land», la stessa cronista non trova di meglio che «abbandonarsi a qualche pensiero solitario e chiedersi se questo debordante entusiasmo non sarà solo un contagioso desiderio di battere tutti le mani al nuovo Anticonformista di massa, domatore eccellente.»
Dispiace soltanto (ma forse nemmeno tanto) che la schifiltosa cronista (ah quanta poesia deve aver letto, lei, per schizzare così il resto del mondo...), al posto di starsene seduta a pensare leopardianamente, non sia stata con la gente, accorgendosi di quanto diverso sia il popolo di Bruce da quello «degli applausi a gettone» o da quello «che il mito è più bello con lo spinello».
Penso invece alla casalinga, seduta dietro di me, signora sui cinquanta anni dallo sguardo luminoso e dalle maniere semplici, che andrebbe insignita come «La più bella fan di Bruce». Ho avuto per un attimo il dubbio che fosse sua madre perché di lui conosce vita e miracoli e come ha detto lei stessa «quando il temporale è particolarmente cattivo, per me che vivo in campagna, non c'è di meglio che sentirmi la cassetta di «Nebraska» prima di prendere sonno».
Se ne era venuta da Roma sola, per questa lunga notte del solstizio d'estate, abbandonando marito e figli (già abbondantemente avvisati qualche mese fa), aveva chiesto un biglietto di tribù na perché il suo peso non poteva con sentirgli il prato, e finalmente sta li davanti a Bruce, l'unico da trenta chi fa ad oggi (il tempo lo conta a chili perché giovani si è anche a 50 anni ma a 100 kg un po' meno) ad «essere uguale sul palco e nella vita». Formidabile!!!
Oppure avrebbe potuto, la nipotina zelante di Adorno, parlare di «irrefrenabile desiderio di battere le mani» ad Aurelio, detenuto part-time nelle carceri di stato. Di giorno al lavoro presso il padre e di notte in gattabuia con gli urli lancinanti di «chi ha la scimmia sulle spalle». Ama il rock, il soul e Bruce Springsteen. Compera il ticket per il concerto del 21 e chiede un permesso speciale «di non rientro» per quella notte. Il permesso tarda ad arrivare ma quando le prime note di «Born In The USA» fendono l'aria lui è lì ad alzare il pugno al cielo.

Oppure tante altre storie tutte uguali e tutte diverse, con la loro piccola percentuale di eroismo. Una platea a immagine e somiglianza dell'artista. Monica, ad esempio. Impiegata in un'agenzia di viaggi, impossibilitata a chiedere un giorno di ferie per un concerto rock. Inventa un padre necessitato di visite ospedaliere, chiede un permesso speciale, mette nella borsa jeans e t-shirt per cambiarsi fuori dall'ufficio e compare allo stadio con sei metri di striscione, confezionato la sera prima, con su scritto «Milano Loves The Boss». Piccole storie che confermano l'unicità dell'evento e la ricchezza morale (ma sì, ma sì) del pubblico. Nessun altro concerto rock ha avuto titoli di giornali così eloquenti:
«Sei il migliore, sei il Boss» (Il Giorno)
«Bruce, questo è l'uomo che infiammerà la nostra estate» (PM)
«Con Springsteen l'Estate si è tinta di rock» (Il Corriere della Sera)
«Infuria l'uragano rock» (Il Giorno)
«Bruce, un eroe come noi» (Il Messaggero)
«Un eroe del rock contro i potenti» (La Repubblica)

E la platea italiana è sembrata proprio congeniale a Bruce, rilassato dopo due giorni di turismo nella villa sul Lago Maggiore messa a disposizione dallo stilista Versace (amico della [ex]moglie). La E-Street band è invece rimasta nelle strade di Milano, senza soffrire molto del clima urbano. Sul palco sono stati tutti fenomenali, a cominciare da Clemons e dal piroettante Nils Lofgren che nei gesti sembra imitare alla perfezione il caro Little Steven. E che dire della 'front line' a cinque (Tallent, Clemons, Lofgren, Patti Scialfa e Bruce), epica e «gasante» come fosse la banda di fuorilegge del Mucchio Selvaggio di Peckinpah. I pezzi, poi, li conoscete tutti. E se qualcosa va aggiunto è che l'LP «Born In The USA» ha ulteriormente rafforzato una rappresentazione e un teatro del rock che è il migliore da quando questo è stato inventato.

L'ORGANIZZAZIONE E IL BUSINESS
Lo spettacolo si è svolto nella più assoluta tranquillità. Code e resse nel limite del sopportabile anche per chi, con il vaglia in mano, doveva ritirare il biglietto agli sportelli. Cosa che in futuro, potrebbe essere evitata (così fan tutti in Europa) inviando direttamente via posta il biglietto prenotato. La sera del 19, ma ormai era oltre la mezzanotte visti i tempi supplementari delle cinque papine dell'Inter al Verona, sotto un'acqua battente gli uomini della Kono Music hanno iniziato a preparare lo Stadio di San Siro, togliendo le insegne pubblicitarie, stendendo lo speciale tappeto sul prato, impiantando l'enorme palco con schermo annesso.
Tutto ciò in condizione precarie e a tempo di record. Il comune e le forze dell'ordine (leggi carabinieri) hanno brillato per la loro latitanza e, anche per quanto riguarda lo schermo esterno, che avrebbe dovuto soddisfare le esigenze dei senza biglietto, si sono continuamente palleggiati la responsabilità fino al pnto che, la mattina stessa del concerto, il comando dei carabinieri di Trenno (luogo originariamente deciso per lo schermo) affermava «di non essere a conoscenza di nessun concerto e di nessun schermo.»
Se qualche volta leggessero i giornali forse circolerebbero meno barzellette su di loro. Grazie comunque agli uomini dell'organizzazione, il concerto si è svolto in condizioni di estrema sicurezza, e anche le 400 vittime della calura e dell'attesa non sono stati un problema vista la celere opera di soccorso. Non tutto ha invece funzionato a livello di vendita e prevendita biglietti, e qui l'organizzazione ha confermato delle carenze già notate nel passato.
Mi riferisco al concerto di Neil Young, in cui, dopo la sospensione, vennero rimborsati i biglietti nel giro di soli due giorni, e a quello degli Spandau Ballett, rinviato e rimborsato il biglietto senza il diritto di prevendita.
Quello del diritto di prevendita è un affare che ogni volta lascia perplessi. Per alcuni concerti, è il caso di Springsteen, l'acquisto in prevendita è necessario. Il biglietto viene venduto a ventiduemila lire, di cui 20 per il ticket e 2000 (in altre occasioni 1500) per il diritto di prevendita. Moltiplicate questa cifra per 65 mila e avrete centotrenta milioni che l'organizzazione si becca puliti puliti, senza muovere un'unghia, anzi con i vari negozi e centri di vendita che litigano fra loro e offrono bustarelle per accaparrarsi tale compito.
Loro (i negozi) ci guadagnano in termini di pubblicità ed immagine.
Se poi moltiplicate il prezzo del ticket (ventimila) per 65 mila e aggiungete i precedenti milioni del diritto prevendita avrete un miliardo e quattrocentotrenta milioni.
Costo complessivo dell'«affare Springsteen».
Togliete il 30% che va al management del cantante poi il 50% del rimanente per tutte le spese e vi rimarrà mezzo miliardo, milione più, milione meno, che è l'utile dell'operazione. Mica male per far cantare l'eroe del «Blue Collar Rock».
E stupido credere alle iniziative filantropiche, ma un limite ci dovrebbe essere. Come è stata gestita la prevendita è invece argomento che ha sollevato parecchio macontento tra il pubblico, e non pochi sono stati gli esclusi per delle modalità e dei tempi che hanno cavalcato una programmazione approssimativa.
Il 17 maggio la Kono Music, l'Intalent di Mamone e la CBS (quest'ultima ha curato solo la parte relativa all'immagine dell'artista e alla promozione) presentano a Milano in una conferenza stampa l'avvenimento. A parte i vaglia che partono subito e devono pervenire entro il 1° Giugno, vengono istituiti 64 punti di vendita in tutt'ltalia, di cui 12 a Milano. Il panico si sparge subito perché «out of Milan» di biglietti ne escono veramente pochi (300 per ogni centro, circa 15 mila in tutta Italia, solo 700 a Roma) che finiscono nel giro di qualche giorno. Iniziata il 25, la prevendita viene chiusa il 28 Maggio. Molti rimangono a bocca asciutta e si appellano, all'ultimo minuto, al vaglia postale pur vivendo a trenta chilometri da Milano o in città. Il giorno dopo, a Bruxelles, succede quel che succede. Esplode la «paura da stadio» qualcuno indietreggia, forti pressioni impongono all'organizzazione una minor agibilità (in termini numerici) dello stadio. Voci infondate creano la psicosi dei biglietti falsi. Si viaggia con la paura dell'incidente. Ma l'ultimo giorno — per fortuna — tutto rientra. Alcuni biglietti (qualche centinaia) vengono messi in vendita in extremis al botteghino del ,'Rolling Stone', altri (pur nella loro completa estraneità al mondo del rock e della sua informazione) vengono miracolati di biglietti speciali, stampa e tribuna e gli sciacalli dei bagarini vedono rovinata la festa, essendo costretti a vendere gli ultimi biglietti a prezzo normale o di poco maggiorato. E si che avevano iniziato la giornata con un arrogante cinquantamilalire! Luci ed ombre, quindi, per un concerto memorabile.
Si sarebbe potuto fare di più, a cominciare da una seconda data, ma sembra che in Italia lo «spettacolo» sia solo il calcio. Si è fatto di più se si pensa a Patti Smith (Bologna, 79), Bob Marley (San Siro, 80), Rolling Stones (Torino, 82), Dylan (Verona e Milano, 84). L'impressione è che sia cresciuto il pubblico del rock, non semplicemente in termini quantitativi ma in preparazione, civiltà, maturità e calore emozionale. Sono convinto che sia anche merito della musica di Bruce, gioiosa, festosa, ma anche vera e sofferta come la vita di tutti i giorni.

IL CONCERTO ore 19.30:

Born In The USA - Badlands - Out In The Streets - Johnny 99 – Atlantic City - The River - Working On the Highway - Trapped (Jimmy Cliff) - Prove it All Night - Glory Days - Promised Land – My Hometown – Thunder Road. ore 21.30: Cover Me - Dancing In The Dark - Hungry Heart - Cadillac Ranch -Downbound Train - l'm on Fire - Because of the Night - backstreets - Rosalita. Bis: Can't Help Falling In Love (Presley) -Born To Run - Bobby Jean. Tris: Ramrod - Twist and Shout/Do You Love Me - Rockin' All Over The World (John Fogerty).

1 commento:

Erica ha detto...

e io avevo poco più di 2 mesi...